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ROBERT KOCH E LA STORIA DEI “BASTONCELLI VIVENTI”.


Robert Koch medico di campagna della Prussia orientale, scoprì il bacillo del carbonchio sei anni prima di quello tubercolare. Considerato il padre della batteriologia, nel 1905 gli fu riconosciuto il Nobel per la medicina.

Fin verso la fine del 1800 nessuno aveva mai visto un batterio. Molti ancora ne negavano l’esistenza, altri la ventilavano soltanto. Non erano “retrogradi” ma, anzi all’avanguardia rispetto ai tanti (filosofi, medici e naturalisti) che da millenni davano “la colpa” di ogni malattia all’ira funesta degli dei, ai turbamenti tellurici, a misteriosi miasmi che emanano dal terreno, persino alla congiunzione di certi pianeti.

Ancora nel 1500 la nuova malattia importata dai marinaia di Colombo reduci dal Nuovo Mondo – la sifilide – fu ufficilamente ascritta a un “abnorme posizione di Saturno”, tanto da ricevere anche il nome di “patursa”, dal latino Passio Turpis Saturnina.
Non sorprende quindi che quando un modesto medico di campagna come Robert Koch annunciò di aver individuato la vera causa di una malattia – il carbonchio – che in Europa decimava gli armeni, colpendo anche l’uomo e provocando paurose carestie, incontrò non poche perplessità nel mondo medico.

Koch era il medico condotto di un paesino della Prussia Orientale, Wollstein (oggi Wolsztyn, in Polonia) e nelle lunghe ore del dopo cena (non v’era ancora la TV!) cercava di aggiornarsi su qualche rivista medica: il suo desiderio era di poter fare qualcosa di veramente valido per i suoi pazienti: le conoscenze e i mezzi di fine Ottocento erano acora molto precari, ed egli  sperava in qualche buon risultato delle ricerche che un chimico francese, Louis Pasteur, stava svolgendo nell’inesplorato mondo di misteriosi quanto ancora appena ipotizzati microrganismi.
Fu una vera fortuna che Emma Frantz, la bella ragazza di Amburgo che aveva sposato qualche anno prima, in occasione del trentacinquesimo compleanno gli donasse un piccolo microscopio, acquistato con i risparmi. Un traballante microscpio che avrebbe cambiato la storia della medicina.
In pochi giorni il modesto medico condotto allestì un rudimentale laboratorio nello sgabuzzino della piccola casa, ponenedo lo strumento dinanzi alla finesra per illuminare il campo (non v’era ancora la luce elettrica), mentre di sera si serviva di una lampada a petrolio. E prese in breve, confidenza con le tecniche di preparazione e di colorazione dei preparati, cominciando con l’osservare a caso, senza alcun fine prefisso, ogni cosa gli capitasse sotto mano: piccoli insetti, scaglie, capelli… Finché gli venne in mente di mettere sotto la lente qualche goccia di sangue di quegli animali che ogni giorno morivano a decine colpiti dal carbonchio, per colpa – si diceva- dei campi “maledetti”.

Guardando attentamente sotto la lente, Koch vide muoversi alcuni strani corpuscoli neri; e gli venne il sopetto che fossero proprio loro i responsabili della malattia.
A questo punto l’improvvisato “indagatore” ricordò che già in Francia qualcun altro aveva osservato qualcosa del genere, ma… nessuno gli aveva creduto. Non volle però pensarci e con ostinazione tutta teutonica, decise di continuare sulla strada intrapresa: voleva dimostrare che quei misteriosi bastoncelli che nuotavano nel sangue degli animali malati o morti di carbonchio (“e mai negli animali sani”!) erano realmente i diretti responsabili della malattia.

Saint Saturnin les Apt-Provence.

I cinque marchi al giorno che a stento riusciva a guadagnare con la professione non gli permettvano certo di acquistare una pecora o una mucca per gli esperimenti, per cui dovette accontentarsi dei topolini che catturava  e chiudeva poi in sgangherate gabbiette da lui stesso costruite con pezzetti di legno, un pò di spago e ceralacca.. E qualche giorno dopo essere stati iniettati con un pò del sangue infetto, gli incolpevoli roditori si ammalavano di carbonchio, con il sangue gremito di quegli strani “bastoncelli viventi”.
Non v’era dubbio: il bacillus anthracis, come Koch chiamò l’agente infettivo, era il vero reponsbile della malattia.
In seguito, lo stesso Koch dimostrò anche che il bacillo poteva per qualche tempo trasformarsi in “spore” assai resistenti, nascondersi nel terreno, restare inattivo per mesi o anni per poi divenire nuovamente virulento: il che spiegava i periodi di remissione e di riacutizzazione che contrassegnavano la malattia.

Discussioni, secolari pregiudizi e incomprensioni precedettero immancabilmente la comunicazione ufficiale della scoperta del bacillo del carbonchio all’Università di Breslavia: ma infine, dopo la dimostrazione delle prove a sostegno delle parole dello stesso Koch, i massimi esponenti della medicina tedesca (convenuti forse più per beffarsi dello sconosciuto medico di paese che non per credere alla sua annunciata grande scoperta) esplosero in un fragoroso applauso. Koch aveva anche indicato il mezzo migliore per debellare la malattia: bruciare e distruggere le carcasse degli animali morti di carbonchio.

Dopo un breve periodo di riconoscimento e di promesse, lo studioso dovette tornarsene a Wollstein a fare il medico condotto. Solo qualche tempo dopo fu chiamato a Berlino con l’incarico di membro straordinario dell’Ufficio di Sanità: disponeva finalmente di un vasto laboratorio dotato di apparecchiature e di due giovani assistenti, F. Löffler e G. Gaffky ( il primo scoprirà il bacillo della difterite, il secondo quello del tifo). Ora la grande scoperta era nell’aria.
Va però precisato che la scoperta del bacillo tubercolare (bacillo di Koch), che avrebbe dato fama mondiale allo scienziato tedesco, avvenne ben sei anni dopo quella del carbonchio, al quale ultimo va quindi storicamente riconosciuto il titolo di primo bacillo della storia (precursori a parte). Difatti, mentre la comunicazione ufficiale della scoperta del bacillo del carbonchio era avvenuta il 30 aprile 1876, quella del Mycobacterium tubercolosis data al 24 marzo 1882, alla società di fisiologia di Berlino.

L’entusiasmo suscitato in tutto il mondo da questa ultima importantissima scoperta scaturiva dalla certezza generale che ormai, individuata la causa della tubercolosi, sarebbe stata automaticamente trovata anche la terapia.
Fu qui che Koch compì un passo falso.
Egli pensò infatti di impiegare la tubercolina (estratto del bacillo tubercolare). E al X Congresso Medico Internazionale di Berlino del 1890 annunciò trionfalmente che essa era in grado di guarire la malattia. Ma presto arrivarono le smentite e purtroppo anche le notizie di alcuni casi mortali.
Questo incidente non fu tuttavia sufficiente a scalfire la fama e la venerazione che cirondavano colui considertao ormai da tutti il padre della batteriologia. I suoi meriti ebbero il massimo riconoscimento con l’assegnazione del premio Nobel 1905 per la medicina. L’accettò dichiarando con l’estrema modestia del vecchio medico condotto : “Se ho avuto più successo di tanti altri, è solo perché nelle mie peregrinazioni nei campi della medicina ho avuto la fortuna di imbattermi in una regione dove l’oro era ancora sparso per le strade…”.

di Luciano Sterpellone.

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