Archivi categoria: MICROALBUMINURIA: rischio cardiovascolare e renale.

Microalbuminuria, ipertensione, rischio cardiovascolare e mortalità.
La microalbuminuria, uno strumento chiave per la valutazione del rischio cardiovascolare e renale.

MICROALBUMINURIA, IPERTENSIONE ARTERIOSA, RISCHIO CARDIOVASCOLARE E MORATLITA’.


Le pont Julien-à 8,5 km d'Apt

Le pont Julien - Apt.

Obiettivi pressori raccomandati dalle linee-guida ESH/ESC 2007

Ipertensione nella popolazione generale: <140 e <90 mmHg,

Ipertensione negli anziani: <140 e <90

Diabetici: <130 e <80

Ipertensione con danno renale: <130 e <80
Ipertensione con proteinuria >1 g/die: ≤125 e ≤75 mmHg.

La valutazione del danno d’organo

Dallo studio di Leoncini et al. il numero di pazienti identificati come a rischio cardiovascolare alto o molto alto è risultato significativamente più elevato se agli esami routinari viene aggiunta la ricerca routinaria di eventuali segni di danno d’organo. Con due semplici esami, facilmente disponibili e a basso costo, quali:

  • la valutazione dell’escrezione urinaria di albumina (valutazione della microalbuminuria: rapporto albuminuria/creatininuria su 2 campioni di urine del primo mattino) e il calcolo del filtrato glomerulare, si riesce ad identificare lo stesso numero di pazienti a rischio aumentato di quanto si ottiene con l’utilizzo delle tecniche ultrasonografiche ma con un notevole risparmio di risorse economiche.
  • ecodoppler tronchi sovraaortici (in considerazione della storia dislipidemia)

Invece, in una casistica di 2000 soggetti, non diabetici, senza precedenti cardiovascolari e non sottoposti a nessun trattamento farmacologico, antipertensivo, ipoglicemizzante o ipolipemizzante la presenza di danno d’organo a qualunque livello è risultata associato ad una prognosi cardiovascolare peggiore. La microalbuminuria è il danno d’organo associato ad un rischio più elevato di eventi cardiovascolari.

Quale associazione farmaceutica?

A parità di controllo pressorio, il trattamento antipertensivo con inibitori del sistema renina angiotensina (SRA) e/o calcioantagonisti sembra determianre una maggiore riduzione della massa ventricolare sinistra rispetto al trattamento con diuretici e/o beta-bloccanti adrenergici.

Quindi farmaci come gli inibitori del SRA (ACE-inibitori) e calcioantagonisti sembrano offrire un vantaggio addizionale nella regressione del danno d’organo subclinico in pazienti con ipertensione arteriosa (TA).

I dati dello studio MORE, che ha valutato il ruolo dell’olmesartan nella regerssione dell’aterosclerosi (e che è stato il primo studio ad utilizzare l’ultrasonografia tridimensionale per valutare l’aterosclerosi): a parità di effetto sui valori pressori e sullo spessore miointimale carotideo, la terapia con omlesartan si è rivelata in grado, a differenza di atenololo, di ridurre il volume delle placche carotidee.

Bisogna considerare che il paziente nefropatico è di per sé un paziente ad alto rischio cardiovascolare. Pertanto è ragionevole, per lo scopo di raggiungere un controllo pressorio soddisfacente, potenziare l’inibizione del SRA nel tentativo di rallentare la progressione del danno renale, sia di inserire un antiaggregante che una statina.

Proteinuria

I dati dello studio IDNT mostrano che i pazienti sono stati suddivisi in quartili sulla base delle  variazioni frazionali della proteinuria.
Nei pazienti in cui si è verificata la maggiore riduzione della proteinuria a 12 mesi si è verificata la migliore sopravvivenza renale, mentre nei pazienti in cui si è evidenziato un aumento della proteinuria la peggiore prognosi.

L’impiego dell’aspirina (ASA) nell’ipertensione arteriosa

Un’ipotesi terapeutica da considerarsi è l’impiego di aspirina a basse dose: il rischio/benficio nei pazienti ipertesi è stato valutato nello studio HOT, che ha evidenziato, per effetto di questo intervento terapeutico, una riduzione significativa di eventi cardiovascolari maggiori (15%) e di IMA (36%), senza effetti sostanziali sull’incidenza degli episodi cerebrovascolari ischemici acuti ( e senza peraltro un incremento del rischio di emorragia cerebrale).
Il beneficio riguardante l’IMA dell’ASA sugli ipertesi era simile a quello riportato in studi su pazienti con pregressa CAD. Praticamente tutti i pazienti dello studioHOT presentavano valori pressori diastolici < 90 mmHg ed è possibile che ciò abbia evitato il riscontro di un incremento di eventi emorragici cerebrali.

Gli effetti benefici dell’ASA sono più evidenti nei pazienti con buon controllo pressorio.

Vale inoltre ricordare quanto suggerito dalle linee-guida ESH/ESC 2007:
“….Negli ipertesi l’impiego di ASA a basso dosaggio (75 – 100 mg) induce effetti cardiovascolari favorevoli nei soggetti di età superiore ai 50 anni senza precedenti patologie cardiovascolari. QUesti pazienti includono quelli che presentano un incremento modesto dei valori di creatininemia o un rischio cardiovascolare elevato.
In questi pazienti i benfici della terapia con ASA superano di gran lunga le conseguenze legate al rischio di complicanze emorragiche.

Al fine di ridurre le complicanze emorragiche, è opportuno raccomandare l’impiego dell’ASA solo dopo aver raggiunto un buon controllo dei valori pressori.

Bilbliografia:

Linee-guida: ESH/ESC 2007, G Ital Cardiol 2007
Leoncini G et al. J Hypertens 2008

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LA MICROALBUMINURIA, UNO STRUMENTO CHIAVE PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE.


La valutazione del rischio cardiovascolare nella pratica clinica.

Le malattie cardiovascolari (MCV) rappresentano un drammatico problema medico, sociale ed economico. Infatti, nonostante si sia verificata negli ultimi decenni una riduzione della mortalità da cause cardiovascolari, esse rappresentano ancora oggi la prima causa di mortalità nei paesi occidentali.

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Figura 1: Stratificazione del rischio cardiovascolare del paziente iperteso secondo le linee-guida ESH-ESC 2007.

Il danno d’organo subclinico.

Dopo l’esposizione di durata variabile ai fattori di rischio (tradizonali e non), lo sviluppo della malattia aterosclerotica e il perdurare dello stato ipertensivo favoriscono le insorgenze di complicanze cardio- e cerebrovascolari e renali (ictus, cardiopatia ischemica, isufficienza renale-IR).
Tuttavia, nella maggior parte dei casi, prima che si verifichi l’evento conclamato, si possono manifestare alterazioni subcliniche di tipo funzionale e strutturale a livello del cuore, delle pareti dei vasi e dei reni. Tali alterazioni, definite da Devreux e Alderman “fase del danno d’organo subclinico”, possono essere diagnosticate facilmente in maniera non invasiva e costituiscono sia un ulteriore fattore di rischio sia una preziosa informazione per guidare la strategia terapeutica (Tabella 1). Inoltre, le variazioni nel tempo del grado di compromissione degli organi bersaglio osservabili in corso di trattamento possono fornire utili indicazioni sull’efficacia della terpia e rispecchiano altrettante modificazioni del profilo di rischio del paziente.

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UNO STRUMENTO CHIAVE PER LA VAULTAZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE.

Danno cardiaco:
La valutazione di base del paziente iperteso comprende l’esecuzione di un ECG: questo semplice esame poco costoso consente di ottenere utili informazioni in merito alla eventuale presenza di disturbi del ritmo e/o segni di coronaropatia, condizioni che, se presenti, necessitano ulteriori approfondimenti e influenzano la scelta della terapia farmacologica. Inoltre, l’ECG permette di diagnosticare l’ipertrofia ventricolare sinistra (IVS), la cui presenza aumenta il rischio di complicanze CV quali angina, IM, scompenso cardiaco, aritmie e morte cardiaca improvvisa.
Sono disponibili numerosi criteri per la diagnosi elettrocardiografica di IVS basati sul voltaggio e sulla durata del complesso QRS, sulla presenza dello “strain” (depressione del tratto ST e/o onda T invertite o bifasiche) e tutti caratterizzati da un’elevata specificità (Tabella 2). Tuttavia, l’ecocardiografia consente di individuare anche gradi più lievi di IVS, fornendo una sensibilità superiore dell’elettrocardiografia. Inoltre, con questo esame è possibile ottenere anche informazioni sulle strutture valvolari e sulla funzionalità sistolica e diastolica del ventricolo sinistro.

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UNO STRUMENTO CHIAVE PER LA VAULTAZIONE DEL RISCHIO CARDIOVASCOLARE.

Danno vascolare:
Attraverso metodiche ultrasonografiche è possibile ricercare in maniera non invasiva la presenza di segni di aterosclerosi subclinica, contribuendo in tal modo ad ottimizzare la stratificazione del rischio globale.  Infatti, ad esempio, il riscontro di un ispessimento miointimale carotideo o di vere e proprie placche è associato ad un aumento del rischio di ictus o ischemia cardiaca nel tempo. Naturalmente, come tutte le tecniche ultrasonografiche, il risultato dell’esame è fortemente influenzato dall’esperienza dell’opertaore.
Un altro metodo per valutare la rigidità dei vasi è la misurazione della velocità sfigmica, che aumenta al ridursi della compliance delle arterie centrali, questo parametro viene valutato più comunemente nel tratto cardio-femorale mediante un apposito strumento di facile utilizzo, è risultato un predittore indipendente di prognosi sfavorevole a lungo termine in varie tipologie di pazienti. Tuttavia, attualmente l’utlizzo di questa metodica non è ancora molto diffuso nella pratica clinica ed essa è riservata per lo più all’ambito dela ricerca.

Danno renale:
Il rene ha un ruolo centrale nell’ambito dell’ipertensione in quanto un’alterazione renale può essere sia la causa sia la risultante dell’innalzamento dei valori pressori. E’ ormai noto che la presenza di IRC comporta un aumento del rischio CV e pertanto è in grado di influenzare significativamente il profilo di rischio. Una valutazione accurata della presenza di un eventuale danno renale richiede la valutazione sia del filtrato glomerulare sia dell’escrezione urinaria di albumina. Nella pratica clincia il filtrato glomerulare può essere agevolemente stimato utilizzando una delle equazioni (Tabella 3) che tenendo conto dell’età, del sesso, e della massa muscolare dell’individuo consentono una stima più precisa della funzionalità renale di quanto si ottenga con la sola creatininemia e permettono pertanto, di anticipare l’identificazione e il trattamento della compromissione renale. La valutazione dell’albuminuria verrà trattata in maniera estensiva in seguito.

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FORMULA DI Cockcroft-Gault.

Trattamento:
Il riscontro di segni di danno d’organo subclinico, a qualsiasi livello, rappresenta un’indicazione ad iniziare il trattamento antipertensivo con lo scopo di raggiungere un controllo dei valori pressori ottimali e duraturo nel tempo. Indipendentemente dal tipo di farmaco utilizzato, senza dubbio il rraggiungiemnto del target terapeutico costituisce l’obiettivo prioritario nel trattamento del paziente ieprteso ed è spesso necessario ricorrere ad una terapia di associazione.
Tuttavia, è stato ipotizzato che alcune classi di farmaci, grazie a specifici meccanismi di azione, siano in grado di fornire una specifica protezione d’organo a parità di efficacia antipertensiva. Ad esempio, una metanalisi condotta su 50 studi randomizzati e controllati ha messo in evidenza che i farmaci inibitori del SRA siano, insieme ai calcioantagonisti, più efficaci rispetto alle altre classi nella riduzione dell’IVS.
Numerosi studi clinici effettuati su pazienti con ipertensione essenziale hanno poi evidenziato come l’utilizzo dei calcio-anatgonisti, ACE-inibitori e sartani abbia un effetto antiaterosclerotico maggiore rispetto alla terapia con diuretici e beta-bloccante, a parità di controllo pressorio (Figura 2). Infine, è noto che l’inibizione farmacologica del SRA offra una nefroprotezione superiore a quella ottenibile con altre classi di farmaci nei pazienti con IRC, specie se in presenza di proteinuria.

Figura 2. Ruolo di olmesartan sulla protezione vascolare: lo studio VIOS.
Olmesartan ha ridotto significativamente il restringimento arterioso causato dall’ipertrofia delle pareti dei vasi sanguigni (come dimostrato dal rapporto parete/lume, W/L torna ai valori normali (non risulta infatti diverso rispetto ai controlli normotesi) dopo un anno di trattamento con olmesartan. Le variazioni delle caratteristiche morfologiche delle pareti arteriose sono state valutate utilizzando una procedura di miografia a pressione su campioni di biopsie arteriose.

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Figura 2: Ruolo di olmesartan sulla protezione vascolare: lo studio VIOS.

rPalazzo re Enzo-Bologna

Palazzo re Enzo-Bologna

La microalbuminuria, uno strumento chiave per la valutazione del rischio cardiovascolare.

Il riscontro di microalbuminuria spesso segnala la presenza di anomalie strutturali o funzionali a livello cardiovascolare e renale (Figura 3).

La microalbuminuria è un marcatore integrato di danno d’organo.
in questa casistica di 211 pazienti non diabetici affetti da ipertensione essenziale è stato dimostrato che la microalbuminuria si associa ad IVS, in particolare di tipo concentrico. Inoltre, i pazienti con microalbuminuria mostrano più frequentemente segni di iniziale compromissione vascolare come indicato da un maggiore spessore mediointimale carotideo (IMT).
Mi, microalbuminuria.
Cliccare la link sotto:
LA MICROALBUMINURIA E\’ UN MARCATORE INTEGRATO DI DANNO D\’ORGANO.

L’associazione tra aumentata escrezione urinaria di albumina e IVS, è stata descritta in molti studi sia con l’impiego di ECG che di ecocardiogramma . Quest’ultima tecnica ha inoltre permesso di precisare ulteriormente che i pazienti microalbuminurici mostrano con elevata frequenza ipertofia di tipo concentrico, la geometria ventricolare sinistra a prognosi più sfavorevole. E’ stato inoltre dimostrato che i pazienti con microalbuminuria, pur in assenza di segni di scompenso cardiaco, mostrano già segni di una riduzione subclinica della contrattilità ventricolare sinistra, quali un aumento dello stress sistolico parietale e un ridotto accorciamento circonferenziale centroparietale.

La microalbuminuria è risultata associata anche a segni di danno vascolare extracardiaco, quali un aumento dello spessore medio-intimale carotideo e della velocità di propagazione dell’onda di polso. Anche l’indice ambulatoriale di rigidità arteriosa (AASI), un parametro di rigidità vascolare proposto di recente e derivabile dal monitoraggio ambulatoriale pressorio, è risultato aumentato nei pazienti con microalbuminuria. Mediante RMN cerebrale nei pazienti ipertesi con escrezione urinaria di albumina aumentata è stata riportata inoltre una maggiore prevalenza di lacune ischemiche cerebrali pur in assenza di sintomatologia clinica.

A livello renale è risultata associata ad un aumento delle resistenze vascolari intrarenali, che correlano con la severità e la durata dell’ipertensione e predicono nei pazienti con IRC la progressione ad IR terminale. Valori di albuminuria ai limiti superiori della norma, come descritto nello studio PREVEND condotto sulla popolazione generale, o nel range della microalbuminuria, come descritto nei pazienti con ipertensione lieve dello studio HARVEST, sono risultati associati ad una condizione di iperfiltrazione glomerulare che potrebbe essere, analogamente a quanto avviene nel diabete, un precursore del peggiroamento del danno renale.

L’INSIEME DI QUESTI RISULTATI HA PORTATO A CONSIDERARE LA MICROALBUMINURIA COME UN MARCATORE INTEGRATO DI DANNO CARDIOVASCOLARE.

Aspetti metodologici della valutazione della microalbuminuria.

Viene definita impropriamente, ma universalmente, microalbuminuria un’escrezione urinaria di albumina compresa tra 20 e 200 mcg/min nelle raccolte di urina temporizzate in assenza di infezione delle vie urinarie (corrispondente a 30-300 mg nella raccolta di urine delle 24 ore), valori che non sono evidenziabili con l’esame urine standard (Tabella 4).
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VALUTAZIONE DELLA MICROALBUMINURIA.

Per la misurazione dell’escrezione urinaria di albumina sono disponibili in commercio strisce reattive che utilizzano metodiche semiquantitative. Questi test hanno il vantaggio di un’estrema praticità e un costo assai contenuto, tuttavia sono assai poco sensibili e specifici.
Il dosaggio quantitativo dell’escrezione di allbumina sulle urine delle 24 ore costituisce la metodica di riferimento.  Tuttavia, dal momento che nella pratica clinica essa risulta  spesso gravata da errori tecnici e in genere, è poco gradita ai apzienti, sono state proposte metodiche alternative come le raccolte urinarie temporizzate (per esempio, una raccolta di 4 ore o delle urine della notte) o la raccolta di urine spot.
La valutazione di un campione di urine spot del primo mattino costituisce probabilmente un compromesso accettabile ed è la procedura raccomandabile per la ricerca della microalbuminuria nella pratica clinica.

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